La comunità scientifica per sua natura è composta da persone che pensano molto ma di solito questa loro attività cerebrale si concentra sui progetti di ricerca, sull’analisi dei dati, sul reperimento dei fondi necessari a far partire una nuova iniziativa, o costruire nuove strutture dove condurre esperimenti, ma nell’epoca Trump gli scienziati si son trovati, loro malgrado, a dover dare anche dei giudizi sulla politica.
La scienza di solito è occupata a fare la scienza dunque si tiene fuori dalle discussioni politiche a meno che non ci siano dei fondi in ballo, questo è ovvio, ma in questo momento anche gli organi di comunicazione dell’ambiente scientifico si stanno facendo sentire per portare all’attenzione del pubblico le problematiche conseguenti all’azione di governo del presidente Trump negli ultimi quattro anni e i rischi di lasciarlo continuare sulla sua linea per un altro mandato.
Per diversi scienziati Donald Trump prometteva male già in avvio, ai tempi della campagna elettorale del 2016, ma le conferme definitive sulla sua pericolosità sono arrivate nel novembre del 2019 con l’annuncio del ritiro egli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi. In quell’occasione Donald Trump si dimostrò come un autentico negazionista del cambiamento climatico, mostrando una visione ridotta e cinica del mondo. Tanto in quel periodo come ora non solo Trump ma anche il suo vice e molti che appartengono alla loro stessa parte politica insistono a dire che la cosa più importante sono i posti di lavoro e non bisogna ascoltare le grida degli “allarmisti climatici”. Tutto ciò è un grave problema per la comunità scientifica che anche senza un tale presidente alla Casa Bianca avrebbe il suo bel daffare a spiegare ai cittadini le ragioni del cambiamento climatico e sensibilizzare le persone a fare tutte, nel loro piccolo quotidiano, la loro parte per raddrizzare la situazione almeno un po’, per cercare di mitigare gli effetti del mutamento globale che si è avviato grazie al nostro “prezioso” contributo di moderni consumatori.
Ma non è solo nell’ambito del clima che Donald Trump e i suoi hanno avuto un peso in senso negativo. Anche nell’ambito della medicina e delle biotecnologie lui e i suoi sostenitori hanno messo lo zampino e ben prima che arrivasse il Covid.
Essendo sorretto da una base votante che in una certa proporzione è conservatrice, questo presidente ha cercato di agevolare il punto di vista di quella porzione di America che ha una visione tradizionalista e, potremo dire, biblica. Per quattro anni l’attuale inquilino della Casa Bianca ha avvallato e sostenuto le richieste avanzate da una parte del Partito Repubblicano con cui dialogano gli attivisti pro-life (antiabortisti), andando così a modificare alcune delle normative introdotte nell’era Obama per facilitare la ricerca in campo biomedico che consentivano di lavorare con le cellule staminali e i tessuti prelevati da feti.
Queste decisioni hanno avuto conseguenze pensanti per intere linee di studio. Come riportato ieri da CNN “Il US Department of Health and Human Services ha impedito al National Institutes of Health di ottenere altro tessuto fetale per la ricerca e ha istituito un consiglio che gli ha praticamente impedito di finanziare i gruppi accademici che lo utilizzano.“
Tali divieti però non sono stati applicati al settore privato così in quell’ambito la ricerca è potuta proseguire e da alcuni studi in cui si sono impiegate proprio le cellule staminali embrionali come base per i test di nuovi medicinali è arrivato anche l’ormai famoso REGN-COV2 dell’azienda Regeneron, ovvero gli anticorpi monoclonali appena sperimentati sul presidente americano e che ora lo stesso illustre paziente dichiara di voler rendere disponibile per tutti, per primi gli anziani, a titolo gratuito. Quando si dice la che vita è piena di sorprese.
Ma quello che ha definitivamente fatto deragliare le relazioni diplomatiche fra scienza e amministrazione Trump è stata la pandemia di SARS-CoV-2. La risposta al virus da parte del presidente americano e del suo governo è stata valutata come inadeguata e i suoi messaggi alla popolazione considerati come estremamente pericolosi e controproducenti in un momento in cui si sta cercando di rallentare la diffusione del virus per risparmiare vite umane. A tutto ciò va anche aggiunta la fuoriuscita degli Stati Uniti dalla World Health Organization (OMS) annunciata da Trump lo scorso luglio. Un vero shoc per la comunità internazionale che ha sempre contato sul peso e dunque il ruolo dell’America nel implementare progetti di ricerca internazionali e campagne globali di vaccinazione contro una serie di malattie che assieme al Covid minacciano gli esseri umani in giro per il pianeta.
Per molti scienziati dunque Trump non è un presidente ma un disastro. Se consideriamo le varie branche della scienza potremo dire che forse solo nell’ambito della fisica e astrofisica qualcuno può dirsi contento di lui perché disponibile a considerare sfide quali il ritorno dell’uomo (americano) sulla Luna, il viaggio verso il pianeta Marte, lo sviluppo dell’intelligenza artificiale e del calcolo quantistico. Molti si ricorderanno ad esempio il lancio della capsula Crew Dragon a maggio grazie a una collaborazione fra NASA e SpaceX. Un riavvio dei decolli di equipaggi dal suolo americano di cui Donald Trump si è ampiamente vantato, nonostante i fondi per fare ciò arrivassero in gran parte da un facoltoso e fantasioso privato, Elon Musk.
Davanti a una figura politica tanto potente ma scettica verso la scienza e dannosa per molte cause in cui essa crede gli scienziati si sono spesso aggregati per fare fronte e respingere, attraverso lettere e dichiarazioni, le posizioni anti-scientifiche di Trump e i suoi seguaci.
Per mesi, durante l’epidemia di Covid, abbiamo visto degli allerta pubblicati su riviste imploranti come Science in cui ci si chiedeva se nelle decisioni della task force americana contro il coronavirus e degli enti quali la FDA, il CDC o l’NIH ci fosse o meno l’influenza del presidente americano e tuttora i dubbi rimangono, danneggiando in primo luogo la percezione della popolazione nei confronti di quanto la ricerca sta facendo per superare la pandemia.
Non deve dunque sorprenderne se perfino Richard Horton, redattore capo della prestigiosa rivista di medicina The Lancet, intervenendo lo scorso 4 settembre a ESOF 2020, si è spinto a dire “Noi abbiamo bisogno di riportare i nostri amici americani dentro la comunità internazionale e il 3 novembre sarà un momento, non solo per gli Stati Uniti ma per tutto il mondo”. A buon intenditor poche parole.
Negli ultimi giorni però abbiamo visto un intensificarsi di comunicazioni da parte delle più importanti testate scientifiche del mondo, fra le quali Nature e il New England Journal of Medicine che hanno lanciato messaggi piuttosto definitivi per far capire cosa sia in ballo, qui e ora, per l’intero pianeta e di come la leadership di un solo paese possa andare a influenzare in vario modo le sorti di tutti gli altri.
Fra i timori di molti commentatori c’è la possibilità che a una riconferma di Donald Trump come presidente degli Stati Uniti possa corrispondere una diaspora di cervelli, una fuoriuscita di importanti scienziati da posizioni chiave all’interno degli istituti di ricerca e degli organismi nazionali che controllano e coordinano fondi e progetti. Già ora molti sono frustrati dalla situazione contingente e il sentore comune è che le cose potranno solo peggiorare se non cambiasse nulla alla Casa Bianca. Ma questo, nel malaugurato caso, sarebbe solo uno dei tanti problemi sulla lista. In realtà Trump ha già influito molto sul mondo scientifico internazionale staccando il suo paese da diverse iniziative di collaborazione, danneggiando al contempo il lavoro dei suoi stessi ricercatori e la reputazione degli Stati Uniti agli occhi del mondo. Secondo quanto pubblicato da Nature e discusso nei suoi podcast gli “effetti intangibili” conseguenti all’amministrazione Trump saranno forse i più difficili da ripristinare perché riguardano la fiducia, la percezione di un’intera nazione.
Nell’ambito dei criticismi verso l’operato di Trump è stata piuttosto eccezionale, forte e chiaro l’intervento del New England Journal of Medicine, una rivista di primissimo piano dedicata alla medicina che nei suoi 208 anni di esistenza non aveva mai trattato di elezioni. Questa volta però la misura era talmente colma che anche il ENJM è uscito allo scoperto lanciando un attacco senza precedenti. All’interno di un editoriale pubblicato il 7 ottobre, scritto dal redattore capo Eric Rubin e firmato da tutta la redazione, si leggono già in apertura parole come queste: “Questa crisi ha prodotto una prova di leadership. Non avendo buone opzioni per combattere un nuovo patogeno, i paesi sono stati costretti a fare scelte difficili su come rispondere. Qui negli Stati Uniti, i nostri leader hanno fallito quel test. Hanno preso una crisi e l’hanno trasformata in una tragedia”. Poi continuando si afferma che “Il tasso di mortalità in questo paese è più del doppio di quello del Canada, supera quello del Giappone, un paese con una popolazione vulnerabile e anziana, di un fattore quasi pari a 50, e fa addirittura impallidire i tassi dei paesi a reddito medio-basso, come Vietnam, di quasi 2000 volte. Il Covid-19 è una sfida schiacciante e molti fattori contribuiscono alla sua gravità. Ma quello che possiamo controllare è come ci comportiamo. E negli Stati Uniti ci siamo comportati costantemente male.”
Nel testo del New England Journal of Medicine fa poi emerge lo sdegno per il modo in cui l’attuale amministrazione americana tratta gli esperti che servono il paese: “Gli Stati Uniti sono entrati in questa crisi con enormi vantaggi. Insieme a un’enorme capacità di produzione, abbiamo un sistema di ricerca biomedica che è l’invidia del mondo. Abbiamo un’enorme esperienza in sanità pubblica, politica sanitaria e biologia di base e siamo stati costantemente in grado di trasformare tale esperienza in nuove terapie e misure preventive. E gran parte di quella competenza nazionale risiede nelle istituzioni governative. Eppure i nostri leader hanno in gran parte scelto di ignorare e persino denigrare gli esperti”. Per concludere, l’editoriale fa un ultimo affondo dicendo che gli attuali governanti dovrebbero essere sbattuti fuori: “I nostri leader hanno ampiamente rivendicato l’immunità per le loro azioni. Ma questa elezione ci dà il potere di giudicare. Le persone ragionevoli certamente non saranno d’accordo sulle molte posizioni politiche assunte dai candidati. Ma la verità non è né liberale né conservatrice. Quando si considera la risposta alla più grande crisi di salute pubblica del nostro tempo, i nostri attuali leader politici hanno dimostrato di essere pericolosamente incompetenti. Non dovremmo incoraggiarli e consentire la morte di altre migliaia di americani accordandogli di mantenere i loro ruoli.”
Ma la lista delle testate scientifiche che si spingono fino a consigliare come esprimere il proprio voto nella cabina elettorale, o via posta, non finisce con l’ENJM ma prosegue con lo Scientific American che esiste da ben 175 anni e afferma subito a inizio articolo “Non abbiamo mai sostenuto un candidato alla presidenza nei nostri 175 anni di storia, fino ad ora”. Nell’editoriale di ottobre, anche qui firmato unanimemente dalla redazione, si dice “Le evidenze e la scienza mostrano che Donald Trump ha gravemente danneggiato gli Stati Uniti e la sua gente, perché rifiuta le prove e la scienza. L’esempio più devastante è la sua risposta disonesta e inetta alla pandemia COVID-19”.
Anche questo giornale prosegue facendo poi un’analisi su come gli amministratori della nazione hanno agito di fronte all’emergenza, ricordando passo per passo tutte le incongruenze, gli errori e persino le assurdità o proprio le bugie pronunciate dal presidente: “Trump ha ripetutamente mentito al pubblico sulla minaccia mortale della malattia, dicendo che non era una seria preoccupazione e ‘questa è come un’influenza’ quando sapeva che era più letale e altamente trasmissibile, secondo le sue dichiarazioni registrate al giornalista Bob Woodward. Le sue bugie hanno incoraggiato le persone a indulgere in comportamenti rischiosi, diffondendo ulteriormente il virus e hanno creato divisioni tra gli americani che prendono sul serio la minaccia e coloro che credono alle falsità di Trump. La Casa Bianca ha persino prodotto un promemoria in cui portava un attacco all’esperienza del principale medico di malattie infettive della nazione, Anthony Fauci, in un spregevole tentativo di seminare ulteriore sfiducia.” L’editoriale poi ribadisce cosa sarebbe meglio fare sul fronte elettorale: “Sebbene Trump ei suoi alleati abbiano cercato di creare ostacoli che impediscono alle persone di votare in sicurezza a novembre, per posta o di persona, è fondamentale superarli e votare. È ora di rimuovere Trump ed eleggere Biden, che ha una reputazione nel seguire i dati ed essere guidato dalla scienza.”
L’analisi più preoccupante resta però quella di Nature nel suo editoriale del 5 ottobre scorso in cui afferma che ci vorranno decenni per riparare i danni causati da Donald Trump. Nell’articolo si legge ad esempio “Trump ha sminuito le mascherine e le esigenze di distanziamento sociale incoraggiando le persone a protestare contro le regole del lockdown volte a fermare la trasmissione della malattia. La sua amministrazione ha minato, soppresso e censurato gli scienziati del governo che lavorano per studiare il virus e ridurne i danni. E i suoi incaricati hanno fatto degli US Centers for Disease Control and Prevention (CDC) e della Food and Drug Administration (FDA) degli strumenti politici, ordinando a tali agenzie di divulgare informazioni imprecise, emettere indicazioni sanitarie sconsiderate e pubblicizzare trattamenti per COVID-19 non provati e potenzialmente dannosi.”
Poi la critica si amplia e dal tema della pandemia arriva a quello dell’ambiente: “Mentre cerca la rielezione il 3 novembre, le azioni di Trump di fronte al COVID-19 sono solo un esempio del danno che egli ha inflitto alla scienza e alle sue istituzioni negli ultimi quattro anni, con ripercussioni su vite e mezzi di sussistenza. Il presidente e i suoi incaricati hanno anche fatto marcia indietro sugli sforzi per ridurre le emissioni di gas serra, indebolito le norme che limitano l’inquinamento e sminuito il ruolo della scienza presso l’EPA (Environmental Protection Agency) statunitense. In molte agenzie, la sua amministrazione ha minato l’integrità scientifica sopprimendo o distorcendo le prove per andare a sostegno delle decisioni politiche.”
Andando poi sul tema della chiusura degli Stati Uniti di Trump verso il resto del mondo Nature afferma: “Chiudendo le porte della nazione a molti visitatori e immigrati non europei, ha reso gli Stati Uniti meno invitanti per studenti e ricercatori stranieri. E demonizzando le associazioni internazionali come l’Organizzazione Mondiale della Sanità, Trump ha indebolito la capacità dell’America di rispondere alle crisi globali e ha isolato la comunità scientifica del paese. Nel frattempo, il presidente ha diffuso caos e paura piuttosto che fatti, mentre porta avanti il suo programma politico e screditava gli oppositori. In dozzine di interviste realizzate da Nature, i ricercatori hanno evidenziato questo punto come particolarmente preoccupante perché svaluta la fiducia del pubblico nell’importanza della verità e delle prove, che sono alla base della scienza oltre che della democrazia.”
Sulla questione dei danni reputazionali a lungo termine nell’articolo afferma: “La regola proposta (il 24 settembre dal US Department of Homeland Security per limitare il tempo che gli studenti internazionali possono trascorrere negli Stati Uniti) fornisce un assaggio di come potrebbe essere un secondo mandato di Trump e mette in evidenza gli impatti intangibili sulla scienza statunitense che potrebbero durare anche se Biden prevalesse a novembre. Biden potrebbe revocare alcune delle decisioni normative dell’amministrazione Trump e passare a ricongiungersi a organizzazioni internazionali, ma potrebbe volerci del tempo per riparare il danno alla reputazione degli Stati Uniti.”
Volendo fare il punto e riassumere la marea di critiche e lamentele provenienti dall’ambiente scientifico contro Donald Trump, si potrebbe dire che questo presidente è riuscito a demolire in soli quattro anni il mito dell’America come paese eroe, come luogo di opportunità e progresso e a mandato al macero una reputazione internazionale che era costata decenni di impegno e vite umane.
Fonti: CNN, HuffintonPost.com, ENJM, Nature, Nature Podcast, Scientific American
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