Pubblicato il 27 Ottobre 2020
52 Yea a 48 Nay, sembra il punteggio di una competizione e in effetti un po’ lo è stata. 38 giorni dopo la morte di Ruth Bader Ginsburg la Corte Suprema torna ad avere 9 giudici, fra polemiche ed accuse sempre crescenti. In un processo di conferma teso, dove la minoranza democratica al Senato ha osteggiato in tutti i modi la nomina fatta da Trump, Amy Coney Barrett diventa giudice alla più alta corte ma con i soli voti dei repubblicani che controllano l’aula.
E così, dopo poco più di un mese dalla morte del giudice Ruth Bader Ginsburg (RBG), una paladina dei diritti civili, Donald Trump e i suoi repubblicani hanno ottenuto una netta e ben pubblicizzata vittoria con la conferma a giudice della Supreme Court di Amy Coney Barrett (ACB), la quinta donna a ottenere questa carica in 231 anni di storia.
A differenza dell’illustre estinta, divenuta giudice alla più alta corte con 96 voti contro 103, il nuovo giudice ha diviso il Senato americano come non si vedeva dal 1869 quando il Edwin Stanton venne confermato con i soli voti del GOP (Grand Old Party), ovvero dei repubblicani. La Barrett infatti ha ottenuto il ruolo grazie a 52 voti favorevoli dei Rep contro i 47 voti sfavorevoli dei Dem a cui si è aggiunta anche una senatrice repubblicana, Susan Collins del Maine. Ma fino al giorno prima del voto finale si è rischiato il parere negativo anche da parte di un secondo senatore della maggioranza ovvero Lisa Murkowski dell’Alaska.
Collins e Murkowski, non a caso, sono gli unici senatori del Partito Repubblicano che supportano la causa del diritto all’aborto e questo ha posto loro qualche dubbio in più davanti alla conferma o meno di un giudice dichiaratamente pro-life.
La discussione che si è conclusa con l’investitura di Amy Coney Barrett ha visto i repubblicani e i democratici sulle barricate fin dal primo minuto, o più precisamente dal giorno in cui si ebbe notizie della morte del giudice Ginsburg. Poche ore dopo questo lutto, con il paese intento a piangere e commemorare la figura di questa donna così popolare e trasversalmente rispettata, il capo del senato Mitch McConnell (Rep – Kentucky) e il presidente Trump hanno annunciato alla nazione di voler riassegnare subito il banco della corte che si era appena liberato.
Le loro parole hanno immediatamente infiammato la discussione politica dentro e fuori le aule del Congresso, con i Dem che rinfacciavano ai repubblicani di essersi rimangiati tutto quello che avevano affermato quattro anni prima, quando fu Obama a trovarsi nel suo ultimo anno di mandato e con una toga da proporre alla Corte Suprema. In quel caso il GOP, che già aveva il controllo del Senato, bloccò la nomina fino all’elezione del nuovo presidente, Trump.
Durante le discussioni svolte in aula fra il 12 e il 15 ottobre 2020, come previsto dalle norme sulla nomina dei giudici, entrambe le fazioni si sono esercitate nella pratica dell’arrampicata sugli specchi, facendo continuamente appello alle statistiche e alla storia, cavata fuori dal suo contesto originale.
Fra gli episodi più gettonati c’è stato quello che ha riguardato il presidente Lincoln, trovatosi pure lui con una toga vacante a pochi giorni dalle elezioni. Essendo Abraham Lincoln spesso indicato come un faro dai repubblicani, i Dem non hanno perso tempo nel chiamarlo in causa come testimone dei presunti misfatti di oggi. Così, tanto al Senato quanto nei dibattiti televisivi, compreso quello fra il vicepresidente Mike Pence e la candidata vice e senatrice della California Kamala Harris, si è evocato il 1864. In quell’anno infatti occorse la morte del giudice Roger B. Taney e il presidente Lincoln si trovò a decidere su una nomina alla Corte Suprema, a soli 27 giorni delle urne. In quel caso però l’inquilino della Casa Bianca decise di aspettare l’esito delle elezioni e solo poi offrì il seggio a Salmon P. Chase, ma contrariamente a quanto sostenuto dai democratici il saggio Lincoln non scelse di fermarsi per questioni di etica piuttosto per opportunità politica, avendo già abbastanza problemi con la Guerra Civile e la coesione del suo partito.
Sul fronte della matematica invece entrambi gli schieramenti hanno cercato di leggere i numeri a loro vantaggio, raccontando quante volte si era aperta una posizione alla più alta corte durante un anno elettorale e in quanti casi le cose erano andate bene e il presidente aveva avuto soddisfazione. Nel bosco dei numeri ha segnato il sentiero il senatore repubblicano Mike Crapo dell’Idaho, durante l’udienza del 14 Ottobre, riassumendo le puntate precedenti:
I casi di seggio vacante alla Corte Suprema in un anno elettorale sono stati 29 di cui 19 verificatisi con il Senato controllato dallo stesso partito del presidente. In tutte queste occasioni il presidente in carica aveva espresso un candidato ma nelle 10 occasioni in cui esso ha avuto il Senato contro la candidatura è andata in porto una sola volta. Diversamente, 17 candidature su 19 hanno ottenuto l’ok dell’aula quando questa era dello stesso colore politico della Casa Bianca.
Agli attacchi e alle fini disquisizioni d’aula sono seguite anche le testimonianze, a sostegno o contro il giudice Barrett. Colleghi, assistenti, ex studenti e cari amici si sono affacciati al Senato via Zoom o Skipe, oppure hanno reso dichiarazioni in presenza per rassicurare sulla bontà della candidatura e la caratura umana della candidata. Parimenti, i suoi detrattori hanno avvertito i senatori e la nazione che seguiva in diretta di quali potessero essere i rischi, per tutti, di avere Amy Coney Barrett alla Corte Suprema.
Quando poi si è trattato di procedere con le votazioni, il 22 ottobre, dalla parola si è passati all’assenza. In segno di protesta tutti i componenti democratici della Commissione Giustizia del Senato hanno abbandonato l’aula lasciando al loro posto, sulle loro poltrone, delle gigantografie raffiguranti alcuni americani vittime del sistema sanitario, oppure foto di persone salvate dall’Affordable Care Act (Obamacare), una riforma a rischio di abolizione per mano della Corte Suprema. E mentre i Dem rendevano dichiarazioni pubbliche sui gradini del parlamento all’interno i repubblicani davano l’ok per portare la candidatura della Coney Barrett all’aula del Senato.
Si arriva dunque al 26 ottobre con i senatori chiamati a dare il loro ultimo e decisivo parere. Dopo le dichiarazioni degli eletti di entrambe due parti in causa arriva il momento della verità con il voto conclusivo. Ogni componente dell’aula viene chiamato secondo l’ordine alfabetico e rende il suo parere con un semplice gesto della mano e pronunciando “Yea” o “Nay”. Nessun bottone da pigiare, tutto alla vecchia maniera.
Dopo 31 ore e 40 minuti di sessione il Senato conferma Amy Coney Barrett e applaude, ma solo con 52 coppie di mani su 100 votanti.
Le ore successive saranno poi dedicate ai due giuramenti ovvero quello costituzionale e quello giudiziario che completano l’iter.
Il giuramento sulla Costituzione, officiato dal giudice conservatore Clarence Thomas, viene messo inscena in diretta e in grande stile la sera del 26 ottobre presso la Casa Bianca, seguito dal breve discorso di un presidente Trump molto soddisfatto e orgoglioso e dalle parole di una stringata Amy Coney Barrett che come prima cosa tiene a rassicurare gli americani sullo stile con cui svolgerà il suo alto compito: “Un giudice dichiara l’indipendenza non solo dal Congresso e dal presidente, ma anche dalle convinzioni private che altrimenti potrebbero influenzarla. . . . Miei concittadini americani, anche se noi giudici non ci sottoponiamo a elezioni, lavoriamo comunque per voi”.
Il saluto di Donald Trump e la Barrett dal balcone imbandierato della Casa Bianca è l’immagine da cartolina storica con cui si conclude la cerimonia, commentata dagli applausi dei presenti fra cui un po’ tutti hanno notato l’assenza del vicepresidente Mike Pence e la moglie, che in precedenza avevano detto di non volersi perdere questo evento per nulla al mondo. Ma forse il Covid e il nuovo focolaio virale accesosi in questi giorni alla residenza presidenziale superano qualsiasi altra cosa.
Amy Coney Barrett è ufficialmente entrata in ruolo il 27 ottobre 2020 con il giuramento giudiziario condotto presso la corte da John G. Roberts Jr., il Chief Justice della Supreme Court Of The United States (SCOTUS).
Ma adesso che la Barrett è diventata il nono membro della corte più alta un po’ tutti si chiedono cosa accadrà. Lei è di fatto il quinto giudice conservatore su nove e questo preoccupa non poco il mondo dei progressisti che temono possano essere annullate recenti sentenze che hanno fatto pare passi in avanti agli Stati Uniti nell’ambito dei diritti civili, o che vengano scardinati precedenti giuridici più datati che da anni tutelano aspetti importanti e intimi della vita delle persone.
Negli Stati Uniti c’è già chi ha iniziato a controllare il calendario segnandosi alcune date delicate. Il 4 novembre arriva al vaglio della Corte Suprema una causa in cui l’oggetto della contesa è un contratto fra la municipalità di Philadelphia e i Catholic Social Services. Questi sembra si rifiutino far accedere ai loro servizi le coppie omosessuali e questo viene valutato come inaccettabile dai addetti del comune. Un tribunale locale aveva dato ragione ai municipali, sostenendo che i servizi vanno offerti a tutti senza discriminazione alcuna, ma fra un ricorso e l’altro la contesa è arrivata alla corte più alta dove ora a sentenziare e votare ci sarà una corte più conservatrice, con in organico un giudice molto vicino alle istanze dei gruppi cattolici. Un eventuale verdetto favorevole ai Catholic Social Services potrebbe introdurre discrezionalità nell’erogazione dei servizi in base a deroghe legate al rispetto delle credenze e convinzioni religiose di chi li offre.
Nei giorni che portano alla data delle elezioni presidenziali la corte sarà sotto pressione per opera di una serie di contese fra i partiti politici e i governi locali. Negli stati chiave quali il Wisconsin, il North Carolina e la Pennsylvania sono ancora in atto degli scontri legali a opera sia dei democratici che dei repubblicani, dove i primi vorrebbero estendere il periodo utile al conteggio delle schede elettorali spedite via posta mentre i secondi vogliono esattamente l’opposto. Per esempio, il 19 ottobre la Corte Suprema aveva dato parere negativo alla richiesta del GOP (i repubblicani) di togliere l’estensione del conteggio in Pennsylvania e rifiutare le schede arrivate dopo l’Election Day, anche se il timbro postale è antecedente o porta la data del 3 novembre. Nonostante questo pronunciamento sembra che i Rep non si siano dati per vinti e insistano per ottenere qualche cambiamento, nel senso da loro auspicato. Un caso simile si è verificato anche nel Winsconsin dove invece sono stati i Dem ad avviare la causa per ottenere l’estensione dei conteggi ottenendo un primo no dalla Corte Suprema, con voto 5 a 3 dei giudici, in data 26 ottobre 2020.
Fra le istanze in attesa di un parere presso l’alta corte c’è però anche una richiesta personale di Donald Trump che spera di ottenere da questo organo giudiziario uno stop definitivo alla citazione emessa dal Procuratore distrettuale di Manhattan Cyrus R. Vance Jr. con l’obiettivo di ottenere accesso alla documentazione fiscale del presidente. E come se il piatto non fosse già abbastanza ricco per il mese di novembre, per il giorno 10 è già calendarizzata la discussione sull’Obamacare che Trump e i suoi seguaci vogliono veder decadere e poi rimpiazzare con una misura firmata da loro, ma al momento ancora piuttosto ipotetica. A tutto ciò potrebbe poi aggiungersi un’ulteriore grana ovvero la questione dei riconteggi elettorali nel malaugurato caso che dai seggi e dal servizio postale nazionale non uscisse un vincitore netto.
Fonti: Reuters, ABC, Washington Post 08/10/2020, 27/210/2020