Pubblicato il 29 Maggio 2023
È da anni che la sanità svizzera corteggia e attrae medici e infermieri italiani, ma ora i dati iniziano a preoccupare. A lanciare l’allarme il sindacato degli infermieri Nursing Up, con il presidente Antonio De Palma che accusa ospedali e cliniche private svizzere di operare un vero e proprio saccheggio ai danni della sanità italiana.
Passaparola, annunci online, sulla stampa, ma anche casting nel cuore della Penisola, a Roma, pur di trovare il personale sanitario di cui ha bisogno. In Svizzera mancano all’appello 13.500 tra medici e infermieri dopo gli abbandoni post pandemia dettati dallo stress. La stessa cosa sta accadendo nel sistema sanitario nazionale italiano, tra fughe nel privato e gettonisti. Peccato però che in Italia la situazione è più grave: tra ospedali e territorio mancano più di 20mila medici e 65mila infermieri (report Cittadinanzattiva). Rapportata agli standard europei la voragine di infermieri in Italia arriva fino a 350mila unità mancanti. Nel nostro Paese ci sono in media 6,1 infermieri ogni 1.000 abitanti, contro gli 8,3 dell’Europa (indagine Health at Glance dell’Ocse 2022).
“I nuovi dati evidenziano l’aggravarsi dell’emorragia di professionisti che decidono di approdare in strutture oltre confine”, avverte De Palma sottolineando che in Lombardia nell’ultimo triennio il fenomeno della fuga degli infermieri in Svizzera è più che raddoppiato. Secondo i dati cantonali oltre 350 professionisti della salute (di cui il 90% infermieri) sono passati oltre confine. Su 31mila persone che nel Canton Ticino lavorano in ambito socio-sanitario, 5mila hanno il passaporto italiano, un camice bianco su sei.
“Sono frontalieri delle province di Como, Varese, Lecco e Verbano Cusio Ossola”, persone che vivono in Italia ma che lavorano in Svizzera: guadagnando il doppio ma riescono a sfuggire all’elevato costo della vita della nazione elvetica. Rispetto ai 1.400-1.800 offerti dal sistema sanitario nazionale (si arriva sui 2mila euro solo dopo molti anni di anzianità e con un certo grado di specializzazione) riescono a portare a casa “3.000 euro netti di retribuzione base, per arrivare anche a picchi di 8 mila dopo anni di lavoro sul campo”.
Nelle province di Como e Varese mancano all’appello circa 500 professionisti. Per fronteggiare la fuga di personale dai reparti più difficili della sanità lombarda il presidente della regione Lombardia, Attilio Fontana, ha provato a fare qualcosa (aumentando da 40 a 100 euro l’indennità mensile prevista dal contratto collettivo nazionale), ma il gap salariale è ancora troppo ampio. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, sta addirittura studiando un “premio fiscale di confine”, più soldi in busta paga per i lavoratori delle aree di confine.
Gli infermieri italiani non fuggono solo in Svizzera ma anche in Germania, Svezia, Lussemburgo, Belgio e Olanda. In totale sono circa 7mila: di questi il 55% non ha alcuna intenzione di tornare, il 30% è in attesa di un concorso, il 15% è indeciso sul da farsi (dati Hunters Group). Chi opta per Germania e Svezia guadagna in media 2.500 euro netti al mese, cifra che scende a 2.000 euro in Belgio, 1.700 in Spagna e 1.600 in Francia.
Retribuzioni tra le più basse d’Europa, contratti spesso precari, turni massacranti, disorganizzazione, carenze strutturali, aggressioni al personale: perché gli infermieri italiani fuggiti all’estero dovrebbero decidere di tornare a lavorare nel nostro sistema sanitario? Se gli infermieri italiani decidono di non restare e di non tornare chi li sostituisce? Sempre più spesso arriva personale sanitario “da Paesi extraeuropei come del Sud America e dell’Africa. Alcuni anche dall’India – ha chiosato Aurelio Filippini, presidente di OPI Varese -. Il decreto Milleproroghe infatti ha concesso, fino a tutto il 2023, di percorrere tale strada per arginare l’emergenza, prevedendo, per gli infermieri in arrivo, la possibilità di esercitare senza il preventivo riconoscimento dal ministero del titolo del Paese di origine e senza che facciano la prova di italiano”.