Pubblicato il 11 Settembre 2021
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Potrebbe essere la prima donna necrofora in Italia, Michela Piccione, 35enne di Sava, in provincia di Taranto, che dall’1° ottobre sarà assunta dall’Asl di Taranto e prenderà servizio all’obitorio dell’ospedale Santissima Annunziata.
Michela è la donna che lo scorso denunciò al sindacato Slc Cgil lo sfruttamento al lavoro in un call center e che lo scorso 29 dicembre, per questo suo gesto, è stata nominata dal presidente Sergio Mattarella cavaliere al merito della Repubblica. Nel frattempo, Michela aveva già lasciato il mondo del call center per diventare operatrice sociosanitaria all’ospedale Giannuzzi di Manduria.
A proposito del nuovo lavoro, sinora riservato solo agli uomini, ha detto: “Fa più male assistere alla sofferenza delle persone malate. Per me – ha raccontato riferendosi all’esperienza fatta nel reparto COVID – è stato più duro sopportare le loro sofferenze, vedere una persona che muore soffocata: non lo auguro a nessuno. Potrò sembrare cinica, ma in molti casi la morte, seppure insopportabile per tantissime ragioni, era una sorta di liberazione dalla sofferenza”.
L’Asl l’ha assunta stabilmente e quindi la giovane donna si lascia definitivamente alle spalle un percorso di precarietà e retribuzioni molto basse. Michela ha dichiarato che non la spaventa doversi occupare delle salme nell’obitorio. “L’assistenza alla salma fa parte della nostra formazione. Poi, ho già vissuto il Coronavirus sulla mia pelle”, ha aggiunto.
Sposata con un artigiano, Luca Scorrano, Michela ha due figli. La sua denuncia fece chiudere un call center a Taranto dove il personale, ammassato in due stanzette, veniva pagato 33 centesimi l’ora.
Quando a fine 2020 ricevette la telefonata dal Quirinale che le annunciava il riconoscimento di Mattarella, Piccione disse: “Mi sono emozionata perché non ci credevo. Mi cercavano dalla mattina al numero di mio marito, ma lui non pensava che fosse qualcosa più importante. Poi dalla segreteria della presidenza della Repubblica mi hanno raccontato quello che doveva accadere oggi. Mi hanno chiamato spiegandomi che il presidente ha voluto darmi un riconoscimento come donna impegnata per affermare la legalità”.
“Nel mondo dei call center – raccontò ancora Michela – ci sono stata complessivamente per otto anni. Ne ho cambiati tre”. A quello che ha fatto chiudere con la sua denuncia, lavorava dal 2017. “Era un miniappartamento, con due stanze molte piccole e 35 addetti – ha ricordato – Ci alternavamo tra primo e secondo turno. Nella stanza più piccola eravamo in 11. La paga oraria doveva essere 6,51 euro lordi, invece prendevamo 33 centesimi l’ora. Percepivamo 92 euro per un mese totale di lavoro eseguito tutti i giorni per sei ore al giorno. Quando abbiamo portato la busta paga al sindacato, stentavano a crederci”.