Pubblicato il 20 Aprile 2022
L’inchiesta era partita dal ferimento a colpi di pistola di Lucky La Gioia, il 31 ottobre 2018 in via Cesare Battisti a Taranto.
Taranto- “Fatti vedere che ti sparo in bocca». Le minacce del clan Pascali ai rivali viaggiavano anche sui social. È quanto emerge dall’avviso di conclusione delle indagini notificato nelle scorse ore dalla Direzione distrettuale antimafia di Lecce a 54 persone coinvolte nel blitz che ha smantellato il presunto gruppo organizzato che aveva la sua base al quartiere Paolo VI di Taranto, ma aveva allungato i tentacoli anche in altre zone della città e soprattutto aveva apertamente dichiarato guerra ai gruppi rivali. E così anche i social network erano strumenti utili a minacciare, sfidare e provocare i nemici.
Giuseppe Pascali, ritenuto dall’antimafia uno dei vertici del clan, di Taranto, aveva scelto Facebook per i suoi strali. Durante quattro dirette dal suo profilo, mentre si trovava in affidamento in prova ai servizi sociali presso in una comunità della provincia di Bari, si è rivolto a quattro nomi di spicco del panorama criminale ionico e aveva lanciato i suoi anatemi: Gregorio Cicala, Walter De Cataldis, Gaetano Diodato e Cosimo Cianciaruso, tutti ritenuti colpevoli di avere reso dichiarazioni con il fratello Nico e il padre Carmelo, condannati per il tentato omicidio di De Cataldis.
In quattro dirette Facebook, Pascali avrebbe sfidato gli avversari dichiarando «vediamo quanto valete voi e quanto valiamo noi. Perché non sono venuti a parlare? Perché sanno che con noi non si può parlare, con noi si fanno male» aggiungendo successivamente poche parole, ma dal significato chiaro: «morte loro e vita nostra». Ed è in particolare contro uno dei quattro che Pascali sfoggia il suo potere criminale: «come hai avuto due colpi te la sei cantata? Aspe’… ti abbiamo voluto bene e ti sei preso due colpi alle gambe».
Per il pubblico ministero Milto De Nozza che ha coordinato le indagini della Squadra mobile di Taranto diretta dal vicequestore Fulvio Manco, Pascali avrebbe agito con l’aggravante mafiosa. Dall’avviso notificato nelle scorse ore, inoltre, sono emerse nuove accuse nei confronti di alcuni membri del can, in particolare Francesco Tambone che il giorno dell’arresto è stato trovato in possesso di diverse pistole e di munizioni nascoste in un’intercapedine del garage che, secondo gli inquirenti, era nella sua disponibilità e anche nel cortile della sua abitazione.
L’inchiesta era partita dal ferimento a colpi di pistola di Lucky La Gioia, il 31 ottobre 2018 in via Cesare Battisti a Taranto. La Gioia era stata colpita da alcuni colpi di pistola: dall’ascolto delle prime intercettazioni era emerso che l’agguato era nato perché il ferito nei giorni precedenti aveva insidiato la moglie di colui che, secondo gli investigatori, aveva poi esploso i colpi di pistola.
Ma quelle conversazioni ambientali e telefoniche avevano immediatamente fatto capire che La Gioia era all’epoca inserito in «un gruppo malavitoso armato dedito soprattutto alle estorsioni» che faceva capo ai fratelli Nico e Giuseppe Pascali. Il clan, secondo il pm De Nozza, aveva un programma criminoso che spaziava dal racket delle estorsioni al controllo del mercato degli stupefacenti, fino all’acquisizione, gestione e controlla di attività economiche nei più svariati settori. Per il gip Marcello Rizzo, si trattava «persone che hanno sposato uno stile di vita malavitoso, pronti a tutto per perseguire i. propri obiettivi, dimostrando una irriducibile inclinazione a delinquere».