Pubblicato il 13 Giugno 2020
Sembra che questa volta i due tedeschi condannati per il rogo alla ThyssenKrupp Acciai Speciali di Torino nel 2007, Harald Espenhahn e Gerald Priegnitz, non riusciranno a scampare il carcere. Secondo quanto affermato ieri dal procuratore generale di Torino Francesco Saluzzo per loro due l’appuntamento con il penitenziario si avvicina.
Negli ultimi giorni era circolata la voce che i due dirigenti avrebbero potuto scansare la reclusione e questo aveva provocato subito una forte indignazione nel nostro paese. Ora però arriva una precisazione da Eurojust – un’agenzia dell’Unione Europea per la cooperazione fra le magistrature europee – che esclude ci sia la possibilità per i condannati di ottenere un altro ricorso dopo due sentenze, una presso il tribunale di Essen e l’altra alla corte d’appello di Hamm che lo scorso gennaio ha reso definitivo il giudizio di condanna a 5 anni, il massimo previsto dal sistema giudiziario tedesco per i casi di omicidio colposo.
Secondo Eurojust il tribunale di Essen riconosce la sentenza emessa a Torino dunque l’unica cosa che ora può accadere è che l’ordine di esecuzione , rimasto in sospeso a causa della pandemia, venga emanato. Così per Espenhahn e Priegnitz si apriranno le porte del carcere. Tuttavia, la giustizia tedesca prevede la possibilità che dopo aver scontato la metà della pena si possa anche richiedere la libertà vigilata mentre dopo i due terzi si può aver acceso a misure alternative.
Fra i parenti delle vittime c’è comunque malcontento “La giustizia che volevamo noi non è questa, la vera giustizia ce la darà Dio”. È ciò che dichiara Rosina Platì, la mamma di Giuseppe De Masi. Lui era uno dei sette operai morti nell’inferno della Thyssen. La signora Platì aggiunge poi: “Li vogliamo vedere in carcere davvero. Troppe volte ci hanno dato questa notizia e non sono mai entrati. Intanto scontino la pena loro inflitta. La vita dei nostri ragazzi non vale pochi anni di carcere, sono ancora arrabbiata… “
Oltre a Giuseppe De Masi furono vittime delle fiamme Antonio Schiavone, Angelo Laurino, Roberto Scola, Rosario Rodinò, Rocco Marzo e Bruno Santino. Durante quel turno di notte i sette operai insieme a un altro collega, Antonio Boccuzzi che fu l’unico a sopravvivere, avevano tentato di soffocare le fiamme ma inutilmente. Seppure vi fossero stati diversi incendi sula linea di produzione numero 5 gli estintori erano quasi scarichi, le manichette praticamente inutili. L’impianto non era affatto adeguato e il management non era intervenuto per operare migliorie sapendo che in breve tempo lo stabilimento avrebbe chiuso i battenti.
Fonte: ANSA 12 giugno 2020 – 16:05