Torino: detenuta si lascia morire in carcere

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Una detenuta si è lasciata morire, la scorsa notte, nella sezione femminile del carcere di Torino.

Rifiutava cibo e acqua fin dallo scorso 22 luglio, giorno del suo arrivo in carcere dalla Sicilia, dove era avvenuto il suo processo.

“Sono rammaricata, ma dal carcere non ci sono mai giunte segnalazioni relative al caso di questa persona”, afferma Monica Cristina Gallo, garante comunale per i diritti dei detenuti a Torino.

“I nostri contatti sono regolari – afferma – eppure nessuno ci aveva informato. Probabilmente non sarebbe cambiato nulla. Però, almeno, avremmo potuto attivare le nostre procedure e tentare qualcosa”.

“Provo rammarico – conclude Gallo – perché le informazioni, in chiave preventiva, andrebbero scambiate. Credo che sia il minimo. Si tratta di salvare delle vite”.

Sulla vicenda, ricostruisce il Corriere, è intervenuta anche la senatrice Ilaria Cucchi: “Questa è una tragedia che non può essere tollerata in un Paese che si professa civile e democratico. Una morte di cui comunque è responsabile lo Stato che aveva in custodia la vita della vittima. Non capisco cosa c’entrano in questo i sindacati degli agenti. Chiedo venga fatta chiarezza anche per questo”.

La donna, di origini nigeriane,  Susan John, 43enne, era madre di due bambini e residente a Torino. Stava scontando una pena per cui era previsto il termine nell’ottobre 2030. 

A comunicare la notizia è il sindacato autonomo di polizia penitenziaria Sappe, secondo il quale a nulla sono servite le sollecitazioni ad alimentarsi da parte dei medici e del personale. 

Il decesso intorno alle 3, nell’articolazione di salute mentale in cui era ristretta la detenuta, la morte è stata accertata dal personale medico e paramedico del 118, immediatamente chiamato dagli agenti. La donna si era sempre dichiarata innocente e si era da subito rifiutata di assumere alimenti pur non dichiarandosi ufficialmente, come avviene in questi casi, in “sciopero della fame”.

“Rifiutava ogni cura e sollecitazione a mangiare e persino i ricoveri in ospedale”, ha spiegato il Segretario del Sappe Piemonte Vicente Santilli.

Era monitorata dai medici del carcere, ma avrebbe respinto qualsiasi tipo di terapia e, nei giorni scorsi, si sarebbe opposta anche al ricovero d’urgenza quando le sue condizioni sono peggiorate. 

“Il pur tempestivo intervento dei nostri Agenti di Polizia Penitenziaria di servizio non ha purtroppo impedito la morte della detenuta. Quello del malfunzionamento del carcere in Italia si appresta a diventare l’esempio più eclatante delle molteplici contraddizioni, a discapito dei più deboli, che contraddistinguono la pubblica amministrazione. Mentre una detenuta nigeriana sarebbe morta di fame e di sete nel Carcere di Torino, risultano in piena ripresa le inchieste a vari livelli sulla qualità delle mense e gli appalti per i generi alimentari somministrati negli istituti penitenziari ai ristretti e al personale”, dichiara Leo Beneduci, segretario generale del sindacato di polizia penitenziaria Osapp.  

“In tale marasma – dice ancora Beneduci – l’assenza più inaccettabile è quella dell’amministrazione penitenziaria. In ragione dell’evidente disastro chiediamo a gran voce alla maggioranza di governo il commissariamento delle carceri e l’avvicendamento degli attuali vertici”.

Il 30 giugno scorso le detenute torinesi avevano scritto una lettera per denunciare l’ennesimo suicidio e denunciare le condizioni di vita negli istituti penitenziari della città. 

“In Piemonte – osserva ancora Santilli – vi sono 13 istituti penitenziari sui 189 nazionali. La capienza regolamentare regionale stabilita per decreto dal ministero della Giustizia sarebbe di 3.999 reclusi, ma l’ultimo censimento ufficiale, al 31 luglio 2023, ne ha contati 4.036. È una delle regioni d’Italia con il maggior numero di detenuti. Le donne sono 160, gli stranieri circa 1.600”.

Per Donato Capece, segretario generale del Sappe, “La situazione sanitaria nelle carceri resta allarmante. Anche la consistente presenza di detenuti con problemi psichiatrici è causa da tempo di gravi criticità per quanto attiene l’ordine e la sicurezza. Da decenni chiediamo l’espulsione dei detenuti stranieri, un terzo degli attuali presenti in Italia, per farli scontare le pene nelle carceri dei loro Paesi; chiediamo inoltre di prevedere la riapertura degli Ospedali psichiatrici giudiziari. Ma servono anche più tecnologia e più investimenti”.

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Redazione Nazionale

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