Unilever annuncia cancellazione campagne pubblicitarie su Facebook. Il social cambia rotta.

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Il colosso mondiale Unilever decide di spostare gli investimenti pubblicitari dai social Facebook e Twitter verso altri media come protesta, contro l’incapacità di questi di vigilare sui post e le dichiarazioni che incitano allodio e alla violenza. Il gruppo di Mark Zuckerberg risponde annunciando cambiamenti.


Quella che era nata come una protesta di piazza, contro la violenza e il razzismo, si è pian piano trasformata in una battaglia per l’etica nel mondo digitale, il cui ruolo da protagonisti è stato infine opzionato dai produttori di beni di largo consumo e fornitori di servizi.


Tutto aveva avuto inizio con la morte dell’afroamericano George Floyd a Minneapolis. Alla rabbia per quell’accadimento si era aggiunta una forte indignazione, provocata da alcuni convenuti pubblicati dal presidente Trump sui social network e osteggiati soltanto da alcune piattaforme. In quei momenti di forte tensione sociale i network come Twitter e Snapchat decisero di intervenire, ognuno a suo modo, per osteggiare i post che potevano incitare ad atti di violenza. Facebook invece si dimostrò tutt’altro che interventista, attirandosi critiche sia esterne che interne all’azienda.


In quel preciso momento alcuni gruppi per i diritti civili iniziarono a fare pubblicamente pressione affinché il CEO di Facebook, Mark Zuckerberg, si decidesse a cambiare rotta e intervenire in modo simile a quando già applicato da Twitter, cioè l’etichettatura dei contenuti politicamente scorretti, divisivi e di stimolo alla violenza. In tal senso fu lanciata una campagna di boicottaggio pubblicitario chiamata #StopHateForProfit che invitava gli inserzionisti a smettere di investire i loro danari in spazi pubblicitari su Facebook.
Il ragionamento fatto unitariamente da gruppi quali NAACP, ADL, Color of Change, Free Press e Sleeping Giants era quello di convincere il colosso digitale di Zuckerberg ad aggiornare le sue priorità attraverso un attacco mirato alla sua base di finanziamento, ovvero la pubblicità. La previsione era che se un certo sumero di aziende avesse aderito si sarebbe innescato un effetto domino che avrebbe portato a una svolta.


Una sfida non banale e una partecipazione da parte delle marche tutt’altro che scontata, ma un po’ alla volta le adesioni sono iniziate ad arrivare, da aziende anche molto diverse fra loro per settore, struttura e natura del prodotto. Si trovano assieme, nella campagna di sensibilizzazione etica verso Facebook, nomi come Talkspace (una app dedicata alla salute mentale), Braze (creatore di software), Fons (un servizio di programmazione e pagamenti), UpWork (un portale di professionisti), Higher Ring (un servizio di outsourcing), Dashlane (gestore di password), Mozilla (creatore di browser), Ben & Jerry’s (noto marchio di gelati), Magnolia Pictures (produttore televisivo), per poi continuare con i produttori di abbigliamento come Eddie Bauer, Eileen Fisher, Arc’teryx, REI, The North Face, Patagonia, o il gigante della telefonia Verizon fino alla multinazionale Unilever che produce e vende prodotti di largo consumo in tutto il mondo.


Questo ultimo ma potentissimo nome si è aggiunto all’iniziativa di boicottaggio pubblicitario nella giornata di ieri e son bastate poche parole espresse dai suoi dirigenti per innescare una reazione sul mercato azionano americano. L’azienda infatti ha dichiarato: “Dato il nostro quadro di responsabilità e l’atmosfera polarizzata negli Stati Uniti, abbiamo deciso che a partire da ora fino almeno alla conclusione dell’anno, non implementeremo pubblicità legata ai marchi sulle piattaforme di social media quali Facebook, Instagram e Twitter negli USA. Continuare a fare pubblicità su queste piattaforme in questo momento non aggiungerebbe valore alle persone e alla società. Monitoreremo in corso e rivedremo la nostra posizione attuale, se necessario.”
In conseguenza di questo messaggio, nella seduta di ieri, i titoli azionari legati a Facebook e Twitter sono andati a registrare una flessione di più del 7%.


L’anglo-olandese Unilever è una multinazionale che possiede una massa economica (60 miliardi $ di vendite annuali) e reputazionale in grado di incidere pesantemente sulle entrate di Facebook e, al contempo, capace di condizionare altri players, come un grande pianeta influenza gli astri attorno a lui. Sul mercato americano Unilever è presente con marchi quali i gelati Breyers, Ben & Jerry’s e Klondike, il tè Lipton, la maionese Hellmann’s, i prodotti per il corpo a marchio Dove, Axe and Lifebuoy, Dermologica e Degree e Lux, dunque un sacco di pubblicità che lascia i social indicati nel comunicato per andare verso altri media.

Un bel pizzicotto, di quelli che lasciano il segno ma che possono anche darti uno stimolo a fare qualcosa. Ed è così che ieri Mark Zuckerberg è tornato ad esprimersi, con un lungo post sul suo profilo Facebook in cui annuncia l’introduzione di alcune novità che il CEO descrive come “cambiamenti che provengono direttamente da feedback della comunità per i diritti civili e riflettono mesi di lavoro con i nostri revisori dei diritti civili”.
“In particolare, – dice Zuckerberg stiamo ampliando le nostre regole legate alla pubblicità per vietare affermazioni secondo cui persone di una specifica razza, etnia, origine nazionale, appartenenza religiosa, casta, orientamento sessuale, identità di genere o stato di immigrazione possano costituire una minaccia per la sicurezza fisica, la salute o la sopravvivenza di altri. Stiamo inoltre estendendo le nostre linee di condotta per proteggere meglio gli immigrati, i migranti, i rifugiati e i richiedenti asilo dalle pubblicità che suggeriscono questi gruppi siano inferiori o che esprimano disprezzo, rigetto o disgusto nei loro confronti”.


Il CEO della piattaforma social ha inoltre annunciato che Facebook inizierà ad applicare etichette di fact-checking ai contenuti degli utenti che violano le politiche della piattaforma, mentre i contenuti che incitano alla violenza o a reprime la libertà di voto verrà rimosso, senza distinguo: “Non ci sono eccezioni per i politici in nessuna delle linee guida che annuncerò qui oggi. Vogliamo fare di più per proibire il tipo di retorica che divide e infiamma e che è stata usata per seminare discordia”.


Zuckerberg non commenta sul boicottaggio #StopHateforProfit ma un portavoce del social di Menlo Park riferisce: “Gli investimenti che abbiamo fatto in intelligenza artificiale ci rendono in grado di trovare quasi il 90% degli incitamenti allodio e di agire prima della segnalazione da parte degli utenti, mentre un recente rapporto dell’Unione Europea rivela che Facebook ha valutato, in 24 ore, più rapporti di incitamento all’odio rispetto a Twitter e YouTube. Sappiamo che abbiamo ancora molto lavoro da fare e continueremo a lavorare con gruppi per i diritti civili e altri esperti per sviluppare ancora più strumenti, tecnologia e politiche per continuare questa lotta”.

Fonti: Unilever USA, Facebook, Associated Press. CNN, CBS, ABC.

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Gigliola Antonazzi

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