E’ morto in Brasile l’ultimo membro di un gruppo indigeno della foresta amazzonica che non aveva mai avuto contatti col mondo esterno.
Il corpo dell’uomo più solitario del mondo, e simbolo del genocidio indigeno, è stato trovato coperto di piume il 23 agosto, su un’amaca fuori dalla sua capanna di paglia.
Sul cadavere non sono stati riscontrati segni di violenza e per questo si pensa che sia morto per cause naturali, all’età di circa 60 anni.
Sul corpo, comunque, verrà effettuata un’autopsia.
L’uomo era l’ultimo di un gruppo indigeno che viveva nell’area di Tanaru, nello stato di Rondônia, al confine con la Bolivia.
Nel 1995, sei dei restanti membri della sua tribù furono uccisi in un attacco da minatori illegali, rendendolo l’unico sopravvissuto.
Le sue attività erano seguite con discrezione dalla Fundação Nacional do Índio (FUNAI), l’organizzazione governativa brasiliana che si occupa della tutela delle popolazioni indigene, che ha dato notizia della sua morte nel fine settimana.
Così come ha osservato la ong Survival International, impegnata nella tutela dei diritti dei popoli indigeni a livello globale, l’uomo abitava nel territorio indigeno Tanaru, un’area di circa 80mila metri quadrati circondata da moltissimi allevamenti di bestiame e una delle zone più violente del Brasile.
Nel 2018 i membri della FUNAI erano riusciti a filmarlo mentre colpiva un albero con quella che sembrava un’ascia rudimentale. Da quel momento non era più stato visto.
Survival International ha ricordato che il territorio di Tanaru è una delle sette aree protette del Brasile in cui vivono le tribù che non sono ancora entrate in contatto con il mondo esterno e in cui è vietato tra le altre cose disboscare e svolgere attività di estrazione.
La ong segnala tuttavia che molte di queste tribù sono minacciate proprio dalle attività di estrazione illegali e dagli allevatori e agricoltori che vorrebbero espandere i propri territori.
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