Pubblicato il 7 Gennaio 2021
Dopo aver toccato il fondo con il palazzo del Congresso preso d’assalto da rivoltosi ispirati e incoraggiati dal presidente Trump, dal figlio Donald junior e da Rudy Giuliani, il parlamento americano è tornato in funzione finendo la conta dei voti elettorali e confermando Joe Biden come 46° presidente degli Stati Uniti e la senatrice Kamala Harris come sua vice.
L’ultima giornata in cui il presidente ancora in carica, Donald Trump, poteva provare a sottoporre obiezioni al voto elettorale si è trasformata in qualcosa che le persone, un po’ distratte, non avrebbero mai potuto immaginare. Un giorno d’infamia in cui le frange più estremiste dei sostenitori di Trump si sono permesse di violare il parlamento americano, di spandersi nel complesso di Capitol Hill vandalizzandolo ma soprattutto umiliando un simbolo di democrazia.
In molti si sono sorpresi per quanto accaduto ieri a Washington ma forse non avrebbero dovuto, perché in realtà c’erano sparsi in giro tanti di quegli indizi su quello che poteva accadere da comportare solo l’imbarazzo della scelta.
Dal 2016 Donald Trump non fa altro che dipingere realtà alternative, allettare la frustrazione di molti con facili soluzioni e cercare di dividere gli americani mettendoli gli uni contro gli altri e poi ulteriormente contro i cittadini di altri paesi, senza porsi troppo il problema di cosa sarebbe successo poi. Nell’ambito delle tendenze di Trump c’è stato poi lo strizzare l’occhio al mondo degli estremisti e dei complottisti, delle realtà che sono state quasi coltivate, concimate e innaffiate per diventare fedeli serbatoi di voti e di figuranti da spingere in piazza per fare impressione.
Mentre negli Stati Uniti l’attenzione veniva rivolta quasi esclusivamente alle rivolte di Black Lives Matter, che scoppiavano a seguito di abusi verso le minoranze, pochi facevano caso alla sempre maggiore disinvoltura con cui gli estremisti bianchi di destra si facevano vedere in giro e quanto piede stessero prendendo gruppi di individui con inchiodate nel cervello le teorie più disparate e che si dichiaravano fieramente fan del tycoon. Queste realtà non sono mai state ne condannate le allontanate da Donald Trump, neanche quando qualche mese fa ci fu prima l’irruzione di una milizia del parlamento dello Stato del Michigan e successivamente il tentato rapimento della governatrice democratica di quello stato, Gretchen Whitmer.
Episodi emblematici che già suggerivano come per alcuni il concetto di possibile si fosse spostato molto più in là e a forza di muovere i paletti del tollerabile si è arrivati fino a ieri. Giunti a una giornata che entra ingloriosamente nella storia americana, con una nutrita folla di sostenitori di Trump invitati a Washington dallo stesso presidente uscente e incitati per ore, da lui e dalla sua cerchia di fedelissimi o parenti, caricati come delle molle e spronati ad andare a farsi sentire dalle parti del Congresso, mentre questo era in sessione congiunta per ratificare il risultato delle elezioni presidenziali 2020. Un momento in cui un nutrito gruppo di individui, con una facilità imbarazzante, ha deciso di entrare a Capitol Hill e fare un po’ come fosse nel suo salotto o, ancor meglio, nel suo gabinetto.
Il risultato di tutto ciò sono stati quattro morti, la reputazione del paese ulteriormente incrinata, la pericolosa creazione di un precedente che si va ad aggiungere all’orizzonte del possibile e lo sconvolgimento dell’iter elettorale che fino a qui nessuno si era sognato di sconvolgere, di mandare in crisi. Ma in aggiunta a tutto questo si registra anche un paradosso, ovvero la sciagurata azione dei manifestati (assimilabili a terroristi domestici) ha smontato quasi tutto il programma di contestazione in aula programmato da alcuni senatori e rappresentati repubblicani al Congresso.
Il blocco dei lavori d’aula, lo spavento e l’indignazione ha fatto desistere alcuni eletti repubblicani dal contestare il voto elettorale in alcuni stati, così dalle sei obiezioni previste (Arizona, Georgia, Michigan, Nevada, Pennsylvania, Wisconsin) ne sono passate solo due, quella relativa al voto in Arizona, presentata prima della assalto, e poi quella legata alla Pennsylvania.
Dopo tutto il trambusto occorso in parlamento molti speravano di evitare qualsiasi contestazione dopo la ripresa del conteggio dei voti ma così non è stato per opera di due ambiziosi senatori repubblicani, Ted Cruz (Texas) e Josh Hawley (Missouri) che mirano a candidarsi alle presidenziali 2024 e sperano di poterlo fare agli attuali votanti di Trump, che potrebbero dispiacersi se questi non si dimostrassero sufficientemente fedeli al presidente uscente.
E alla fine di tutta questa vicenda elettorale e del guaio capitato ieri a Washington, davanti agli occhi stupefatti del mondo, possiamo dire che un ruolo importante lo ha giocato la crescente paura del Partito Repubblicano di perdere consenso facendo qualche torto a Trump, dunque ai suoi votanti. In un intreccio di interessi di partito e personali uniti a ricatti, pratici e psicologici, hanno portato una parte della politica americana prima a sfruttare il fenomeno Trump e poi a rimanerne dipendente e subordinata.
Le elezioni 2020 si concludono così, con le chiavi della Casa Bianca in mano a Joe Biden e Kamala Harris, mentre Donald Trump fa uscire una nota in cui sembra comprendere che la sua permanenza al civico N°1600 di Pennsylvania Avenue NW finisce qui, che ci deve essere una pacifica transizione di poteri dalla sua amministrazione a quella successiva. Nello stesso messaggio però non manca di confermare che la sua battaglia per fare l’America grande andrà avanti.
Abbiamo comunque ragione di pensare che prima di riprende qualsiasi impresa Donald Trump aspetterà come minimo che gli sblocchino l’account di Twitter e Facebook che gli sono stati bloccati per almeno mezza giornata, per evitare che continuasse a postare contenuti controversi e facilmente interpretabili dai rivoltosi come delle parole d’ordine per scatenare il caos.
Fonte: ABC, Reuters, CBS News al Congresso, CBS News al Save America rally