Pubblicato il 28 Dicembre 2023
La Procura di Torino ha emesso la prima sentenza nell’ambito dell’inchiesta sui pestaggi a danni di detenuti, rubricati come torture, nel padiglione C del carcere di Torino, quello dedicato ai sex offender, cioè detenuti per reati a sfondo sessuale.
I detenuti hanno denunciato maltrattamenti e a loro volta venivano denunciati per calunnia, altri sarebbero stati picchiati e poi accusati di aver appiccato fuoco nella cella e altri ancora, una volta portati in infermeria, avrebbero raccontato di essersi fatti male da soli o picchiati dai compagni di cella. E ancora sarebbe stato spruzzato detersivo per piatti su vestiti e sulle lenzuola, tutti metodi utilizzati per punire violentatori e pedofili.
L’inchiesta
Come riporta Ilfattoquotidiano sono 25 gli indagati, 3 dei quali hanno optato per il rito abbreviato. Il primo è l’ex direttore dell’istituto Luigi Minervini, il secondo è l’ex comandante di reparto di Polizia penitenziaria Giovanni Battista Alberotanza e il terzo è l’agente Alessandro Apostolico.
Minervini dovrà rispondere di omessa denuncia e favoreggiamento, Alberotanza di favoreggiamento e Apostolico, la cui posizione è più grave, è accusato di tortura e di aver usato crudeltà verso un detenuto e di avergli inflitto “violenze gravi” che produssero “acute sofferenze fisiche”, come si legge nel capo d’imputazione.
La sentenza
Il gup ha inflitto pene più moderate a 2 dei 3 imputati. L’ex direttore Minervini è stato condannato a pagare 300 euro di multa per aver denunciato con ritardo gli episodi di violenza sui detenuti, già segnalati in precedenza, e a 9 mesi più 300 euro di multa per abuso di autorità all’agente.
Assolto invece Alberotanza “perché il fatto non costituisce reato”, accusato di aver insabbiato il caso tramite un’istruttoria interna che di fatto scagionò gli agenti penitenziari dalle accuse di violenze e pestaggio.
Botte e torture a violentatori e pedofili
Come ha scritto il giudice, i detenuti hanno raccontato “un modus operandi ricorrente: una sorta di ‘battesimo’ una volta che il detenuto fa ingresso in carcere, perpetrato da un gruppo di agenti di Polizia penitenziaria (i quali, dall’agire in gruppo, paiono trarre superiorità e forza e la cui identità spesso ritorna nei vari fatti contestati), con modalità simili (insulti e vessazioni continui, schiaffi al volto, calci, pugni alla schiena, sferrati in una stanzetta isolata o durante un percorso obbligato spesso indossando i guanti, pratica utilizzata, evidentemente, per non lasciare tracce evidenti), oltre a perquisizioni arbitrarie e violente e a limitazioni arbitrarie dei diritti dei detenuti (ai quali, ad esempio, non viene fornito il materasso per dormire), tutti posti in essere verso i detenuti per reati a sfondo sessuale, o con vittime minorenni”.
Secondo il gup coloro i quali avrebbero dovuto tutelare i detenuti più a rischio, poiché responsabili di reati particolarmente odiosi, si sono attribuiti una “una patente di ‘giustizieri morali’ violenti, nella certezza dell’impunità”. Le dichiarazioni dei detenuti sono state ritenute “intrinsecamente credibili” e sembrano trovare riscontro in diverse testimonianze.
Nella sentenza si legge che le violenze avevano tutte lo stesso “modus operandi”: “Alcuni agenti del blocco C utilizzavano quotidianamente modi brutali, quali picchiare i detenuti, dopo averli condotti in una saletta al piano di sotto, eseguire perquisizioni punitive, danneggiare effetti personali, costringere il soggetto a leggere ad alta voce il capo di imputazione per poi deriderlo e insultarlo, ovvero portarlo nei pressi della rotonda del reparto e circondarlo, anche alla presenza dell’ispettore, per intimorirlo e dissuaderlo da eventuali denunce nei loro confronti”.
Le testimonianze dei detenuti
Un detenuto ha denunciato di essere stato costretto a restare faccia al muro per un’ora, per poi essere picchiato da 3 agenti; un altro ha rivelato che non ha potuto lavarsi per settimane; altri ancora hanno detto di essere stati offesi con frasi del tipo “pedofilo di m***a” o “negro di m***a”, per poi essere costretti a ripetere frasi umilianti.
Secondo il pm Francesco Pelosi il regista delle violenze sarebbe Maurizio Gebbia, ex coordinatore di sezione, che ha optato per il rito ordinario. Il giudice ritiene che il direttore dell’istituto Minervini sapeva cosa succedeva nel carcere, “quantomeno a partire dal 2018, se non prima”, ma sottovalutò la situazione “omettendo di denunciare quanto via via a sua conoscenza”.
Tuttavia il giudice ha sostenuto che “non è provata alcuna finalità da parte di Minervini di favorire Gebbia o altri agenti di Polizia Penitenziaria”, ma piuttosto la volontà di mantenere “rapporti di equilibrio” con loro. Alberotanza invece avrebbe mostrato solo “una vicinanza ai propri sottoposti più che il dolo del reato di favoreggiamento”.
Più complicata la posizione dell’agente semplice Apostolico, il cui comportamento è stato ritenuto “aggressivo e assolutamente arbitrario”, ma senza lo scopo di “ledere in maniera esorbitante la dignità della persona”. Tuttavia è emersa la sua “evidente incapacità di valutare i limiti della propria funzione”, dettata anche dalla scarsa esperienza. Per questo motivo l’agente è stato condannato per il reato di abuso di autorità.