Kiev ha adottato misure di prevenzione ferree che non costituiscono una garanzia assoluta. I terroristi dell’Ira ricordavano ai britannici: a noi basta essere fortunati una volta, voi dovete esserlo sempre. E dunque gli angeli custodi non possono mai riposare, riferisce il Corriere.
Gli spostamenti di Zelensky sono protetti dal riserbo più stretto, anche perché il numero uno va spesso a visitare i soldati a ridosso delle prime linee. Non può permettersi di restare perennemente nel bunker.
Possibili i depistaggi logistici e i diversivi per creare una cortina fumogena in una sfida dove non sottovalutano l’avversario, con una lunga tradizione di omicidi, Europa compresa.
Allo scudo interno si aggiunge quello offerto dagli occidentali.
Rivelazioni trapelate un anno fa indicavano una difesa a cerchi da parte degli americani. Il primo è esterno, con la caccia di informazioni su possibili rischi, una vigilanza con informatori e intercettazioni.
Il terzo riguarda la sopravvivenza della catena di comando: allo scoccare dell’invasione Washington avrebbe proposto al presidente di essere messo al riparo, all’estero oppure nelle zone occidentali del Paese. Offerta declinata, con gli ucraini consapevoli che il trasferimento poteva essere scambiato per un segnale di debolezza e fiduciosi che il sistema di successione potrebbe, almeno nel breve, consentire la gestione.
Il sito Politico ha dedicato un articolo al meccanismo istituzionale che verrebbe attivato nel caso dell’uccisione di Zelensky.
La guida sarebbe assunta dal presidente del Parlamento, Ruslan Stefanchuk – nonostante un indice di gradimento poco elevato – con alle spalle un consiglio composto da Andrii Yermak (attuale responsabile dell’ufficio presidenziale), dal ministro degli Estri Dmitri Kuleba e dal collega della Difesa Oleksii Reznikov.
L’obiettivo è quello di avere una leadership collettiva in grado di condurre la nave nella tempesta.
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